giovedì, aprile 24, 2008

Burlone anti islamico

«Un ex dentista noto per le sue burle anti-islamiche è in lizza per diventare il vice di Silvio Berlusconi. Roberto Calderoli è un anziano membro della Lega Nord, il partito il cui successo nel recuperare l'otto per cento dei voti ha destato scalpore nelle elezioni politiche della scorsa settimana. Il signor Calderoli era ministro per le riforme nell'ultimo governo Berlusconi ...aveva fatto trasalire gli italiani due anni fa, nel picco del clamore sulle vignette danesi "blasfeme", aprendo la camicia dal vivo in televisione e mostrando una maglietta con uno dei disegni. Lo scorso settembre si era opposto all'apertura di una nuova moschea organizzando un "giorno del maiale" contro il sentimento islamico, poichè i maiali sono considerati impuri dai musulmani osservanti. Come ministro delle riforme aveva delineato la bozza della legge per il nuovo sistema elettorale su basi regionali anzicchè nazionali, dando la possibilità alle due camere di essere conquistate da fazioni diverse. Più tardi aveva ammesso che la legge era una porcata, una "load of rubbish"».

Così, in un impeto di ridanciano ottimismo, Peter Popham dell'Independent descrive da Roma colui che potrebbe ascendere al vice premierato in Italia. La questione delle magliette e del "giorno del maiale" non suscita evidentemente più che ilarità nei commentatori stranieri. La piega ilare non si può tuttavia condividere, non quando le simpatiche burle scatenano un inferno (nella specie, in Libia) in cui persone non dotate dello stesso senso dell'umorismo del redattore di Independent ci lasciano le penne in concomitanza degli exploit del nostro legaiolo in carriera. Qualcuno si è anche chiesto cosa avrebbe scritto Popham se al posto della maglietta anti islamica (da notare il virgolettato per l'attributo "blasfeme" nel pezzo del giornale inglese) l'esuberante ex dentista avesse indossato una maglietta antisemita. Ma tant'è, nessuno può impedire a Popham di ispirarsi ad un irritante doppio binario occidentale, come per il momento nessuno può impedire agli italiani di dotarsi del vice premier che si meritano.

martedì, aprile 22, 2008

Isra-pedia

Allarmante e non nuova per chi frequenta i forum, i blog e i database aperti all'intervento dei lettori, è una notizia di ieri di Electronic Intifada (EI), un sito costantemente aggiornato sulle vicissitudini del conflitto israelo palestinese. Il sito è gestito, fra gli altri, da Ali Abunimah, analista palestinese di Chicago che ha acquistato notorietà per numerosi interventi sui media e per il libro "One Country", con cui perora la causa di uno stato unico e democratico di Israele-Palestina, uno stato per tutti i suoi cittadini. Mi limito a riferire le prime battute del pezzo di EI, riportando il link alla documentazione in formato pdf che EI dichiara essere 'filtrata' alla sua redazione. Gli scambi di e-mail fotografati in quella documentazione sono assai più istruttivi ed indicativi di qualsivoglia commento. Ripeto, in realtà la questione si sostanzia in poco di nuovo (qui un interessante precedente), salvo la spudoratezza dell'intervento. Le sistematiche infiltrazioni di gruppi di potere sulla rete sono una cosa cui dovremo abituarci e ormai da tenere in debito conto, anche quando si copia e incolla la prosa apparentemente asettica che descrive un fatto storico in una enciclopedia (o in un manuale che va per la maggiore), sia sulla rete che fuori. Il titolo di questo post non è facile ironia, è la 'rubrica' e l'indirizzo e-mail di parte della posta intercettata ed offerta ai surrettizi interventi - ma anche alle riflessioni - dei lettori. (Illustrazione © EI)

Così principia il pezzo e il commento di EI. «Un gruppo di pressione filo israeliano sta orchestrando una campagna segreta e di lungo termine per infiltrarsi nella popolare enciclopedia on line Wikipedia e riscrivere la storia palestinese, passare la propaganda come fatti e assumere il controllo della struttura amministrativa di WIkipedia per assicurarsi che questi cambiamenti non vengano scoperti e contrastati. Una serie di e-mail di membri ed associati del gruppo filo israeliano CAMERA (Committee for Accuracy in Middle East Reporting in America) fornite ad Electronic Intifada (EI) dimostra che il gruppo è impegnato in quello che un attivista ha definito una "guerra" su WIkipedia. Un action alert del 13 marzo, firmato da Gilead Ini, "Senior Research Analist" di CAMERA, sollecita "volontari che possano lavorare" come editor per assicurare che gli articoli relativi a Israele su WIkipedia siano "liberi da faziosità ed errori" ed includano fatti e contesti necessari, ma che il materiale che intendono introdurre includa affermazioni calunniose sui palestinesi e musulmani e nasconda la vera storia di Israele ...».

lunedì, aprile 21, 2008

Flechette, per distruggere e mutilare

Le munizioni antiuomo o a frammentazione sono ideate per distruggere e mutilare le persone (APERS) o per danneggiare le cose (APAM) in modo tale da renderle inutilizzabili. Nell'artiglieria da campo il proiettile flechette o ad alveare è un esempio di munizione antiuomo. La carica di questo proiettile consiste in 8000 dardi d'acciaio, stabilizzati con pinne. Dopo la detonazione i dardi o flechette vengono spruzzati in modo radiale dal punto della detonazione, normalmente a sessanta piedi dal terreno. E' estremamente efficace contro le persone all'aperto o in posti con densa vegetazione. C'è chi ha osservato che le descrizioni delle ferite provocate da munizioni flechette, con la penetrazione di innumerevoli dardi nel cuore, provocano poco sanguinamento (come peraltro risulta dalle fotografie del corpo di Fadel Shana). Altri hanno contestato il fatto che i tank israeliani Merkawa III e IV usano di norma proiettili 120 mm APERS/APAM, diversi dai proiettili M494 105mm APERS-T che portano una carica di flechette. L'obiezione sembra essere agevolmente superata dal fatto che gli israeliani modificherebbero le munizioni a frammentazione per essere utilizzate con il (più grosso) cannone da 120mm, in modo che esse rilascino circa 5000 dardi e del colorante. Le foto sopra mostrano la sequenza dell'esplosione ripresa negli ultimi istanti da Fadel Shana. Qualcosa di molto simile ad una detonazione sembra essere avvenuta al di sopra del cameraman della Reuters (la telecamera è ancora diretta verso lo sbuffo di fumo dello sparo), con frammenti di materiale riconoscibili in una nuvola di colore verde.

domenica, aprile 20, 2008

Vedere la morte

Human Rights Watch ha dichiarato che secondo la sua indagine sull'uccisione di Fadel Shana l'equipaggio del carro armato israeliano che ha sparato, il 17 aprile scorso, uccidendo il cameraman di Reuters e altri tre civili, ha operato in modo temerario o deliberato. In quel momento, infatti, c'erano scambi di fuoco tra le forze israeliane e i militanti palestinesi nella Striscia di Gaza, ma il cameraman era lontano dalla battaglia. Reuters ha pubblicato l'ultimo video di Shana, che mostra il carro armato che apre il fuoco da una collina distante. (Nella foto, tratta dalla ripresa di Fadel Shana, in lontananza si può distinguere l'esplosione del colpo che pochi istanti dopo lo ucciderà)

venerdì, aprile 18, 2008

Hillary, secondo copione

Parlando, il 16 aprile, al dibattito dei Democratici per le elezioni presidenziali, Hillary Clinton ha minacciato il lancio di una "massiccia rappresaglia" se l'Iran decidesse di attaccare Israele. Sempre in corsa con Obama (e gli altri) per blandire l'elettorato pilotato dalla lobby filo israeliana e dal relativo codazzo di neo conservatori, la paziente sposa del fantasioso ex presidente americano si esibisce in una nuvola di toni bianco azzurri, mostrando le narici frementi di una parodia di Meryl Streep nel Manchurian Candidate e si offre indomita ai sicuri applausi bipartisan del filo sionismo militante. E la voglia di strafare ha evidentemente la meglio. "Penso che dovremmo creare un ombrello di deterrenza che vada assai più in là del solo Israele" aggiunge la mamma di Chelsea e dimentica che gli USA col 'buon inizio' afghano e, sopratutto, iraqeno, non possono certo dirsi a metà dell'opera. Ciò nonostante, è imperativo esagerare. Deve rispondere - il pubblico sicuramente se lo aspetta - alla recente reazione del vice capo di stato maggiore dell'esercito iraniano, Mohammed Rada Ashtiani, che solo l'altro ieri replicava, a sua volta, alle minacce del ministro delle infrastrutture israeliano, Benjamin Ben-Eliezer. E ribadisce quindi la lady turchina: "naturalmente metterò in chiaro con gli iraniani che un attacco ad Israele provocherà una massiccia rappresaglia dagli Stati Uniti". I botta e risposta sul punto sarebbero ridicoli se, proprio per essere pronunciati dai novelli gnomi e fattucchiere della politica internazionale e dai rappresentanti delle rispettive milizie, non suscitassero qualche giustificata apprensione. In un nuovo round della lotta a parole tra Gerusalemme e Tehran, Rada Ashtiani aveva dichiarato - traduzione di Haaretz - che "se Israele vuole prendere un'iniziativa contro la Repubblica Islamica, elimineremo Israele dalla scena dell'universo" dopo che l'israeliano Ben-Eliezer, la settimana prima, aveva minacciato che "un attacco iraniano su Israele provocherà una dura risposta di Israele, che porterà alla distruzione della nazione iraniana". Doveroso sottolineare qui che - a parole - tutti rispondono a qualcosa. Ma possiamo stare tranquilli, non succederà nulla se non interverrà uno di quei fatti imponderabili che, secondo i propugnatori del 'nuovo secolo americano' e i loro volenterosi sicari, possono fare da detonatore precipitando il pianeta in una sorta di novello Medio Evo. Una cosa tipo quella che è capitata, guarda caso, l'11 settembre del 2001.

giovedì, aprile 17, 2008

Da Ciriello a Shana, notizie dalla Palestina

Non ci sarebbe da scandalizzarsi, visto che nani e saltimbanchi della politica imperversano anche da noi, ma non era molto tempo fa che riferendomi ai quattromila partecipanti alla convention del CUFI (Christians United for Israel, quelli che hanno un "obbligo biblico" di difendere Israele fino a che non vengano distrutti o convertiti ad una forma di allucinato cristianesimo) stupivo alle fanfaronate del circo politico e mediatico americano. Scrivevo di questo, ma quando la notizia dell'ultima ora è - cito Reuters - che "un cameraman di Reuters e altri due civili sono rimasti uccisi oggi pomeriggio nella Striscia di Gaza in quello che sembrerebbe un attacco israeliano", penso che occorra lasciare da parte i buffoni e occuparsi di cose serie. A parte il condizionale, adottato prudentemente dall'agenzia internazionale per non finire immediatamente tra le grinfie scandalizzate dei servizi di informazione coatta che imperversano nella rete e sulla carta, attendo adesso che il circo - non quello americano, ma quello mediatico italiano - dia il giusto risalto alla manifestazione di quanto, da cinquant'anni, sta succedendo in quella che solo l'ironia può suggerirci ancora di chiamare terra santa. Fatto sta che Fadel Shana, 23 anni, palestinese, stava lavorando per Reuters sulle violenze in corso a Gaza ed è stato trucidato da un razzo che il nostro Corriere nazionale, con un guizzo inusitato, non stenta a definire israeliano. Dopo il condizionale in verità anche Reuters non può fare a meno di raccontare quello che è successo (e saranno fulmini e saette, da Israele, oltre ai razzi sul loro cameraman): "Le immagini riprese da Shana mostrano un carro armato israeliano, fermo a diverse centinaia di metri, che apre il fuoco. Circa due secondi dopo il colpo, il filmato si blocca: apparentemente nel momento in cui Shana è stato colpito. Il suo giubbetto antiproiettile è stato parzialmente strappato". Del resto, la scritta TV sull'auto del giornalista, non può lasciare dubbi. L'esercito più morale del mondo ha colpito ancora, trascinando il nome di un altro giornalista e due collaterali civili, nelle scarne ed ipocrite statistiche occidentali della carneficina palestinese. Le milizie hanno colpito, ma perchè stupirsi? Solo oggi un campione della sanguinaria occupazione orchestrata dalla dirigenza suicida dello stato ebraico per opera del suo braccio armato, che ancora osa chiamarsi forza di difesa, si è esibito in una prova di nanismo politico e morale del quale operazioni di tal fatta (sparare su giornalisti e civili) non possono che essere il riflesso. Ricordando quindi la medesima sorte toccata al nostro Ciriello (un nome che si sente raramente sui media di larga diffusione italiani) concludo con le alate parole di questo campione di moralità e diplomazia, Benyamin "Bibi" Netanyahu, così come riportate da Maariv e rilanciate oggi da Haaretz: "Stiamo beneficiando di una cosa e cioè dell'attacco alle Twin Towers e al Pentagono, e della lotta americana in Iraq", riferisce Maariv -aggiungendo che l'ex premier israeliano ha precisato che questi eventi "hanno fatto pendere l'opinione pubblica americana in nostro favore" ("We are benefiting from one thing, and that is the attack on the Twin Towers and Pentagon, and the American struggle in Iraq," Ma'ariv quoted the former prime minister as saying. He reportedly added that these events "swung American public opinion in our favor"). Ora, se un ex primo ministro può parlare così e non essere sommerso dallo sdegno di una nazione, che ci si può aspettare dagli adolescenti, illusi o fanatici sbattuti a umiliare, opprimere, uccidere anche per suo conto?
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giovedì, aprile 10, 2008

Nasim Fekrat, un workshop sul blogging a Kabul

Due mesi fa, il 15 febbraio, con il titolo "Noi ci proviamo", rilanciavo un comunicato di Nasim Fekrat, il nostro amico (link) che, sotto lo pseudonimo di Afghan Lord, da anni trasmette notizie e immagini dall'Afghanistan evidenziando le contraddizioni di un paese povero, strumentalizzato e martoriato e allo stesso tempo proteso verso il futuro con una buona volontà che ha dell'incredibile. Leggendo dell'iniziativa di Nasim, osservavo quindi che, come quello che era dei Taliban e in parte lo è ancora, come quello che era dei signori della guerra e in parte lo è ancora, come quello dei burka, delle lapidazioni, delle invasioni, delle vedove impotenti, dei bambini per strada, come quello delle vie del petrolio e dell'oppio, come quello delle missioni di pace dove è stata portata la guerra, agnello sacrificale e pretesto, anche questo è Afghanistan.

Questo era il comunicato di Nasim: “Molto presto Afghan Penlog lancerà il primo workshop per promuovere la diffusione dei blog a Kabul. Obiettivi di questo laboratorio/seminario sono lo sviluppo culturale e una maggior presenza dei blogger come media. Questo primo workshop è indirizzato agli studenti e ai blogger di Kabul, ma è nostra intenzione lanciare analoghe iniziative in altre province e il nostro prossimo passo sarà la promozione di seminari anche a Jalalabad, Kandahar, Heart, Ghazni ed altre zone del paese. Afghan Penlog non ha avuto finora alcun aiuto economico e per questo chiede a tutti gli operatori culturali e agli amici di sostenere il progetto con un unico fine, sviluppare l'attività dei blogger in Afghanistan. I nomi dei donatori saranno pubblicati sul sito e forniremo loro tutti i dettagli del progetto e i relativi costi. Abbiamo necessità impellenti: comprare un generatore e pagare il collegamento internet. Ed anche se non abbiamo abbastanza danaro per affittare un laboratorio informatico, probabilmente saremo in grado di tenere il workshop presso il centro scolastico di Payam-e-Noor, situato a Karte-Chahar, Kabul. Ma abbiamo ancora bisogno di un po' di danaro per realizzare questo obiettivo. Prima avevamo in mente di comprare un computer e ottenere la disponibilità di una linea internet da Afghan Telecom ma non abbiamo raggiunto il nostro scopo per mancanza di donazioni e la nostra idea è sfumata. Così l'abbiamo abbandonata. Ora ci accontentiamo di lanciare questo workshop”.

Ebbene, il workshop si è tenuto e con successo ai primi di aprile. La notizia in inglese, ora arricchita dei particolari sul sito Afghan Lord di Nasim Fekrat, è stata già anticipata nei giorni scorsi dalla BBC (in farsi) e da noi, in italiano, su Blogfriends e altrove grazie a Mericò. La riporto di seguito.

«Quanti di noi davanti a qualcuno che chiedeva una donazione (soldi, per intenderci) per un qualche progetto di solidarietà, non hanno risposto con il fatidico interrogativo " Ma poi siamo sicuri che i soldi arriveranno a destinazione e verranno utilizzati bene?". Molti, a dire il vero, usano spudoratamente questo dubbio per dribblare la richiesta, credendo che possa essere una buona scusa per evitare di mettere mano al portafoglio. Certo, c'è da dire che la realtà non aiuta a diradare un certo alone truffaldino che aleggia su parecchie "raccolte fondi" che girano per terra, mare, e-mail, telefono, posta e simili. Ma, almeno stavolta, sono felice e orgogliosa di poter smentire questa fama negativa. Qualche tempo fa Pipistro scrisse un post proprio qui su Blogfriends, parlando del progetto di Nasim Fekrat, giovane blogger di Kabul, e di un gruppo di suoi amici e collaboratori afghani, di organizzare il primo workshop per promuovere la diffusione dei blog a Kabul e, contestualmente, riportando la richiesta dei bloggers di un piccolo aiuto finanziario per poter realizzare questo obiettivo. Un traguardo nobile ma ambizioso e difficile da portare avanti in Afghanistan, soprattutto per problemi economici e logisitici. Bè, il 3 e 4 aprile a Kabul l'Associazione Bloggers Afghani (AfghanPenLog) , superando tutti gli ostacoli, è riuscita a tenere il primo blogging workshop della sua storia. Credo non servano tante parole per testimoniare l'evento, sono sufficienti le immagini (ed anche un pezzo uscito su BBC Persian). La più rappresentativa la inserisco nel post, alcune altre nei commenti. Cosa c'è di meglio di una documentazione visiva per garantire l'onestà di una iniziativa? Ma anche per mettere in risalto, in un paese tristemente famoso per la condizione femminile non certo invidiabile, la presenza di due donne, di cui una, Masoumeh Ebrahimi, attiva nell'organizzazione del workshop? E poi, siccome questi ragazzi sono testardi, ma principalmente motivati, hanno intenzione di mettere su prestissimo un secondo workshop, perchè, come ha detto lo stesso Nasim, "C'è ancora di più da condividere e impare". Ma per farlo hanno ancora bisogno del nostro aiuto che, chi vuole, può concedere cliccando qui, anche piccolo sarà comuqnue utile, l'euro lì vale moltissimo. Concludo ringraziando Franca (ceglieterrestre), Anna (euridicea) e Mauro Biani, per il sostegno concreto e la collaborazione che hanno regalato per realizzare il (primo) sogno di questi ragazzi, e tutti coloro che hanno donato e che, speriamo, lo faranno».

mercoledì, aprile 09, 2008

ONU e Israele, storie di ordinaria incompatibilità

Il ministero degli esteri israeliano ha dichiarato che non consentirà visto e ingresso al nuovo funzionario dell'ONU incaricato di investigare sulla situazione umanitaria nei territori palestinesi occupati dopo i commenti in cui questi avrebbe accostato gli israeliani ai nazisti. Non entriamo nel merito dell'opinabile iniziativa del nuovo relatore delle Nazioni Unite, Richard Falk, né sui termini della similitudine, che - per quanto riferito da Haaretz - sarebbe andata a violare un ben consolidato tabù, sta di fatto che le improvvide esternazioni del funzionario sono terreno fertile, strumentale all'ennesima manifestazione di attrito tra un'agenzia collaterale all'Assemblea delle Nazioni Unite e lo stato ebraico. A Falk, professore emerito di Princeton, che avrebbe dovuto assumere l'incarico in maggio, viene ora negato il visto per Israele, per Gaza e per il West Bank occupati, almeno fino alla riunione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU in settembre. In quella occasione, forte dell'appoggio incondizionato degli USA in seno al Consiglio, Israele intende chiedere che venga estesa la missione del funzionario incaricato di investigare le violazioni dei diritti umani da parte dei palestinesi verso gli israeliani. Il mandato, infatti, gli consente ora di monitorare nei Territori solo le violazioni israeliane, come forza occupante, nei confronti dei palestinesi.

Vi è da sottolineare che John Dugard, il precedente investigatore ONU ha già risposto alle contestazioni di parte israeliana, opponendo alla indifendibile 'par condicio' prospettata da Israele l'elementare principio che vede appunto questi ultimi come occupanti nei Territori palestinesi e la popolazione palestinese sottoposta al giogo di una situazione imposta 'manu militari' e mantenuta indebitamente per quasi cinquant'anni: "The mandate of the Special Rapporteur is concerned with violations of human rights and international humanitarian law that are a consequence of military occupation. Although military occupation is tolerated by international law it is not approved and must be brought to a speedy end. The mandate of the Special Rapporteur therefore requires him to report on human rights violations committed by the occupying Power and not by the occupied people. For this reason this report, like previous reports, will not address the violation of the human rights of Israelis by Palestinians. Nor will it address the conflict between Fatah and Hamas, and the human rights violations that this conflict has engendered. Similarly it will not consider the human rights record of the Palestinian Authority in the West Bank or of Hamas in Gaza. The Special Rapporteur is aware of the ongoing violations of human rights committed by Palestinians upon Palestinians and by Palestinians upon Israelis. He is deeply concerned and condemns such violations. However, they find no place in this report because the mandate requires that the report be limited to the consequences of the military occupation of the OPT by Israel". (Distr. GENERAL A/HRC/7/17 21 January 2008 - Human Rights situation in Palestine and other occupied Arab territories - Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967, John Dugard, p. 6)

E' quasi inutile evidenziare che nel frattempo, ossia negli ultimi cinquant'anni, la violazione di una sequela di risoluzioni ONU da parte di Israele, avrebbe - senza il veto USA pilotato dai potentati dei quali la lobby filo-sionista è parte congrua e iperattiva - legittimato più di un energico intervento e sanzione. Siamo quindi di fronte al vieto atteggiamento pilotato dall'establishment israeliano, cioè da una dirigenza arrogante amplificata da un sistema mediatico asservito e piagnone, che ha come primo 'goal' quello di ammutolire e stroncare le voci che si levano per smascherarlo e talvolta ridicolizzarlo, dall'ONU come dagli storici, politologi e analisti di mezzo mondo ed anche, in particolare, dal mondo intellettuale ebraico svincolato dagli allarmismi e dalle pastoie del potere di Tel Aviv. Dimentica quindi, ancora oggi, il ministero israeliano, che, secondo le convenzioni di Ginevra (e secondo i principi applicati a Norimberga dopo la seconda guerra mondiale), l'occupante non ha diritti da svolgere nei confronti della popolazione civile occupata, ma solo responsabilità. Ed è appena il caso di aggiungere che anche il precedente relatore ONU sulla situazione nei Territori occupati, il sudafricano John Dugard, è risultato inviso alla disinvolta dirigenza dello stato ebraico e al sistema mediatico che ad essa fa capo per aver comparato il trattamento israeliano dei palestinesi all'apartheid.

martedì, aprile 08, 2008

La musica non ha confini

Non ha confini, appunto, ma RAM-FM in questo momento diffonde come un disco rotto, almeno in rete, il suo jingle d'apertura: "Music Has No Boundaries, 93.6 RAM FM". Forse è solo un sovraffollamento di collegamenti in rete, ma non sembra un caso perchè Israele trattiene da oggi lo staff di RAM-FM 93.6, detta 'radio della pace', per aver trasmesso dallo studio di Gerusalemme senza apposita licenza. La radio è stata chiusa dalla polizia lunedì e continuerebbe ora a trasmettere dalla sua sede principale di Ramallah. La stazione RAM-FM 93.6 è di proprietà di un uomo d'affari ebreo del Sud Africa, Issy Kirwh e trasmette musica occidentale nel tentativo di avvicinare israeliani e palestinesi. La radio è attiva da oltre un anno ed è ascoltata - riferisce YnetNews - da decine di migliaia di persone, quali soldati israeliani, studenti palestinesi, abitanti dei villaggi del West Bank, immigrati di lingua inglese, lavoratori e diplomatici stranieri. E' una delle tante 'stazioni pirata' che trasmettono in tutta Israele che vengono periodicamente accusate di interferire con le trasmissioni autorizzate e (come è stato dichiarato nel caso da un portavoce del ministero delle comunicazioni israeliano, Yehiel Shalvi) con le comunicazioni radio degli aeroporti.